Pensioni 2023, bonus e sgravi per chi resta a lavoro

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31/10/2022

Pensioni 2023, bonus e sgravi per chi resta a lavoro

Pensioni 2023, la riforma del sistema da inserire all’interno della prossima legge di bilancio potrebbe contenere anche misure volte a incentivare la permanenza sul lavoro. Un meccanismo che partirebbe dai 63 anni e che dovrebbe garantire importanti vantaggi economici al lavoratore. Aiutando al contempo l’Inps a contenere le spese del proprio bilancio.

La misura è allo studio all’interno del pacchetto di provvedimenti connessi alla finanziaria ed è dotata di un sistema d’incentivo. Questo sarebbe composto da sgravi contributivi in favore del lavoratore. Detto in altri termini, il lavoratore potrebbe fruire di una busta paga più pesante. Ottenendo anche un assegno più elevato alla quiescenza, in virtù dell’applicazione di coefficienti di conversione in rendita più vantaggiosi per la parte contributiva della pensione.

Riforma pensioni 2023: i numeri riguardanti la legge di bilancio

La certezza a oggi è che il quadro di ripensamento del sistema non lascia spazio a interventi di larga portata. Accompagnare la flessibilità previdenziale con incentivi volti a rinviare il pensionamento potrebbe quindi rappresentare una strategia utile al contenimento dei costi. D’altra parte, i numeri indicano che lo spazio d’intervento nel settore sia piuttosto limitato.

Le proiezioni indicano disponibilità per circa 5 miliardi di euro nella prossima manovra. Stanziamenti che devono bastare per il rinnovo di opzione donna e ape sociale, oltre che per trovare una misura sostitutiva alla quota 102. Quest’ultima risulta infatti in scadenza al prossimo 31 dicembre 2022. Tra le soluzioni attualmente al vaglio dell’esecutivo ci sono l’opzione uomo e la quota 41 con un vincolo di età.


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L’obiettivo resta la neutralizzazione dello scalone che si potrebbe verificare con il ritorno alla legge Fornero a partire dal prossimo gennaio. Senza nuove opzioni di flessibilità previdenziale, il ripristino delle regole ordinarie potrebbe infatti risultare troppo drastico e mettere a rischio la pace sociale.

Pensioni 2023: la nuova quota 41 potrebbe coincidere con la proroga delle quote

In questo contesto, l’incentivo alla permanenza sul posto di lavoro dovrebbe rappresentare una delle strategie chiave per garantire maggiore flessibilità a coloro che vivono situazioni di disagio in età avanzata. Sostanzialmente, la nuova flessibilità potrebbe garantire un meccanismo premiale a chi resta sul lavoro. Penalizzando coloro che anticipano il pensionamento.

Si pensi, ad esempio, alla possibile estensione agli uomini dell’opzione donna. La misura consentirebbe a tutti i lavoratori di ottenere un assegno a partire dai 58 – 59 anni di età e con 35 anni di versamenti. Contro i 67 anni della pensione di vecchiaia oppure i 42 anni e 10 mesi di versamenti dell’uscita anticipata (un anno in meno per le donne). I lavoratori dovrebbero però accettare un taglio fino al 30% sull’importo dell’assegno.

Di contro, chi permane sul lavoro ottiene una busta paga più alta in virtù degli sgravi contributivi ed un assegno più elevato dopo l’accesso all’Inps. Così le misure si bilancerebbero a vicenda, sostenendo la tenuta dei conti previdenziali.

Pensioni anticipate, il problema dell’importo degli assegni

Pur tenendo presente la necessità di raggiungere un equilibrio sui conti pubblici, l’applicazione di penalizzazioni e di bonus in base al momento in cui si sceglie di andare in pensione non è priva di controindicazioni. Gli ultimi dati in arrivo dall’Osservatorio dell’Istat indicano infatti che già oggi un terzo dei pensionati riceve un assegno inferiore a 1000 euro al mese. Si tratta di circa 5,3 milioni di persone, delle quali oltre 3 milioni sono donne.

È chiaro che legare ulteriormente la flessibilità in uscita dal lavoro a dei tagli agli assegni rischia di trasformare il problema del disagio lavorativo nel problema del disagio economico in età avanzata. Se si osservano i dati, soltanto il 21,1% dei pensionati riceve una pensione tra i 1000 e i 1500 euro.


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I numeri indicano che la maggior parte degli italiani in pensione (il 53,9%) ottiene dall’Inps un assegno inferiore a 1500 euro. Anche per questo, la sfida della flessibilità previdenziale non può essere affrontata solo con l’applicazione di penalizzazioni sull’assegno.

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