Riforma pensioni 2023 e anticipate: linee guida ministeriali confermate

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30/03/2022

Riforma pensioni 2023 e anticipate: linee guida ministeriali confermate

Riforma pensioni 2023 e uscite anticipate, arrivano nuove conferme sulle linee guida del ministero del Lavoro. Ma al contempo si evidenzia anche il rallentamento delle trattative che dovrebbero portare a un ripensamento del sistema previdenziale a partire dal prossimo 1° gennaio. Il confronto dovrebbe portare a maggiore equilibrio all’interno delle regole di accesso alla pensione, che attualmente prevedono molte opzioni a scadenza.

Ma la guerra in Ucraina e le recenti tensioni geopolitiche hanno di fatto messo nuovamente in stallo il confronto tecnico tra governo e parti sociali. Con non pochi interrogativi rispetto all’evoluzione della vicenda, anche considerando che si parla ormai da anni d’intervenire sulle modalità di accesso all’Inps. Il risultato è che il problema viene continuamente spostato in avanti.

In precedenza era stata la pandemia ad aver congelato il confronto tra governo e sindacati. Le proposte discussioni sono poi riprese negli ultimi mesi del 2021, per subire un nuovo stop nei primi mesi del 2022. Ora arriva una nuova conferma ministeriale sulle linee guida da seguire per cambiare la situazione, seppure non è chiaro quando riprenderanno i tavoli negoziali.


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Riforma pensioni 2023: la direttiva ministeriale che conferma le linee guida

A confermare l’intenzione del governo sulla necessità di cambiare le regole di accesso alla pensione è stata negli scorsi giorni una nuova direttiva ministeriale (28/2022). All’interno viene infatti riepilogato il contenuto della programmazione strategica e operativa portata avanti dal MdL. Nell’elenco dei criteri direttivi, si legge anche che il governo punta a un nuovo “intervento sul sistema pensionistico, attraverso il dialogo e il confronto con le parti sociali, volto a garantire un sistema equo e flessibile nell’uscita dal mercato del lavoro”.

Dal punto di vista del sistema di welfare garantito dall’Inps, si conferma che “la Direzione generale per le politiche previdenziali e assicurative assicurerà la prosecuzione nell’azione di supporto per la regolamentazione delle forme pensionistiche e per il sostegno alle gestioni previdenziali dei lavoratori del settore privato e del settore pubblico, mirata al rafforzamento delle politiche previdenziali”.

Riforma pensioni fuori dalle priorità del governo Draghi

Di fatto, le direttive ministeriali confermano l’impegno a garantire nuove regole di funzionamento del sistema previdenziale e a prevederne l’attuazione. Anche se nulla fa pensare a una veloce ripresa del dialogo con le parti sociali per chiarire i termini di riforma del sistema pensionistico. Ma il tema continua a restare al di fuori delle priorità del governo.


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D’altra parte, è lo stesso Mario Draghi a esprimersi in tal senso. Le ultime dichiarazioni del premier non lasciano adito a dubbi. “La riforma delle pensioni 2022 è l’ultimo dei pensieri a cui al momento il Governo può pensare. Ci sono troppi rischi che l’Italia sta correndo e che deve immediatamente risolvere” (fonte Il sussidiario).

Insomma, la guerra in Ucraina, le tensioni geopolitiche e l’emergenza energetica hanno nuovamente portato in secondo piano l’intervento sulle regole di accesso alla pensione. Un ripensamento da un lato comprensibile, ma che desta anche preoccupazione in molti lavoratori visto che la riforma del settore è ormai attesa da anni.

Pensioni flessibili: ecco le ipotesi di riforma governative dal 2023

Stante il quadro della situazione, la riforma pensioni 2023 dovrebbe comunque passare per un accordo che attualmente non vede coincidere le richieste dei sindacati e le ipotesi governative. Le parti sociali chiedono da anni, attraverso la piattaforma formata da Cgil, Cisl e Uil, un’uscita generalizzata a partire dai 62 – 64 anni e con 20 anni di versamenti. In aggiunta, si propone la quota 41 per tutti i lavoratori.

Il governo punta invece a una flessibilità garantita dal sistema contributivo puro. Le ipotesi parlano del superamento della quota 102 con un meccanismo di uscita effettivamente disponibile dai 64 anni. Ma accettando una penalizzazione del 3% l’anno. Un vincolo giudicato comunque come troppo penalizzante dai sindacati. Una seconda ipotesi prevede di applicare una trattenuta del 3% solo sulla parte retributiva dell’assegno per coloro che hanno iniziato a versare prima del 1996.

In questo caso, la penalizzazione effettiva potrebbe risultare contenuta, considerando che il calcolo contributivo puro occupa ormai per molti pensionandi una parte prevalente nella stima della futura pensione. In sostanza, stimando che la parte retributiva peserà circa il 30% per molti pensionati, la trattenuta effettiva potrebbe ridursi all’1% per ogni anno di anticipo.

Il problema delle opzioni previdenziali in scadenza nel 2022

Sullo sfondo resta però anche l’urgenza delle opzioni di flessibilità attualmente disponibili in fase sperimentale. E quindi in scadenza al prossimo 31 dicembre 2022. Si pensi ad esempio all’opzione donna oppure alla pensione anticipata tramite Ape sociale. Queste misure sono essenziali per garantire la tenuta sociale del paese, ma finora sono state confermate solo in via estemporanea attraverso il rinnovo di anno in anno.

La riforma delle pensioni dovrebbe puntare a rendere strutturali tali opzioni, affiancandole a una pensione di garanzia per i giovani. Ma anche al riconoscimento del lavoro di cura delle donne, a un ampliamento delle tutele per chi svolge attività gravose e al potenziamento dei fondi pensione. Tutte questioni che finora sono state affrontate solo a livello teorico, oppure con provvedimenti temporanei.

Il problema doveva essere risolto definitivamente proprio con la nuova riforma del sistema previdenziale. Nei prossimi mesi capiremo se sul punto si riuscirà davvero ad arrivare a un intervento decisivo, oppure se anche quest’anno si tornerà a guardare alla stabilizzazione del sistema come una chimera rimandata al futuro.

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