In giro per Napoli, alla ricerca delle sue bellezze nascoste
In giro per Napoli, alla ricerca delle sue bellezze nascoste, tra magia e storia, un tuffo nel passato…
Nell’ultima scorribanda domenicale, insieme ai fidati amici di ventura, ci siamo imbattuti in una delle strade di Napoli dove il caos odierno richiama alla mente il disordine che sempre ha contraddistinto questa zona. Un tempo, giusto fuori le mura cittadine, ed oggi, teatro di un cantiere di riqualificazione dell’area con pietrisco, fango e transenne sparse ovunque. Eccoci in Via Carbonara. Strada che, sotto questo manto un po’ lercio e maleodorante, custodisce testimonianze d’alto pregio di un passato glorioso. Ricchezze ben nascoste, agli occhi dei passanti, impazienti e distratti. Vi giungiamo, dopo aver trovato un buco per parcheggiare in via Cesare Rosaroll. Da qui, costeggiando Torre San Michele, imbocchiamo via Pontenuovo, nome che richiama il ponticello attraverso il quale era possibile superare il fossato che cingeva le mura cittadine d’epoca aragonese. E mentre scanso deiezioni varie, cercando di non rimanerci spiaccicato con i piedi dentro, vengo catturato da degli strani fregi impressi sulle pietre nere della torre. Lettere forse aramaiche, forse egizie, simili a quelle impresse sul bugnato puntiforme della Chiesa del Gesù Nuovo. Segni misterici di quel linguaggio che i maestri pipernini si trasmettevano segretamente e col quale i cavatori caricavano di energia positiva i massi da utilizzare per costruire palazzi e cattedrali. Con la mente ancora concentrata a decifrare quelle incisioni antiche e magiche, ci ritroviamo in via Carbonara, ai piedi della splendida scala a tenaglia che l’archistar Ferdinando Sanfelice realizzo’ nel settecento dinanzi al complesso della Chiesa di San Giovanni a Carbonara.
Risalendo tali scale, superiamo la chiesa della Consolazione e giungiamo dinanzi alla Cappella di Santa Monica. Cappella dedicata alla madre di Sant’Agostino, in onore del quale, i monaci fecero erigere il convento retrostante. Dopo essere stati catturati dal pregevole portale marmoreo gotico d’ingresso della Cappella, adorno di statuette di santi, sulla sinistra intravediamo l’acceso alla chiesa di San Giovanni.

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Cappella-santa-Monica
L’ingresso è ricavato nella navata laterale dell’originaria basilica, dopo che, con la realizzazione della cappella Somma, la chiesa fu privata della facciata principale. Ebbene, appena entrati veniamo subito colpiti dall’altare Miroballo, con le sue nicchie arricchite da statue e bassorilievi sui quali ancora intravediamo le originarie decorazioni dorate.

Ma il vero tuffo al cuore lo abbiamo appena ci giriamo sulla destra e ci imbattiamo nel maestoso mausoleo del re Ladislao di Durazzo.

Veniamo sopraffatti dalla mole possente di questo monumento sepolcrale. Tutto questo marmo bianco che rifulge nell’oscurità della navata, grazie alla luce che trapassa dalla retrostante cappella dei Caracciolo del Sole. Marmo a profusione, che si sviluppa per ben tre livelli, per un’altezza complessiva di ben 18 metri. A nulla valgono le immagini intraviste sui libri di storia o in video dimostrativi di questo straordinario luogo. La visione dal vivo, in prima persona, smorza quella timida fascinazione di una osservazione de relato, per lasciare spazio alla sublimazione che solo spettacoli inimmaginabili possono donare. Si resta veramente a bocca aperta ad ammirare tale magnificenza. Partendo dalle splendide cariatidi, rappresentanti le Virtù della Temperanza, della Fortezza, della Prudenza e della Magnanimità, che sorreggono il primo livello, si giunge alla prima visione del re, assiso in trono affianco alla sorella Giovanna II, che commissionò la realizzazione del mausoleo. Da lì, guardando più su, si giunge al secondo livello dove il re è deposto sul suo sarcofago, con alle spalle il vescovo San Ludovico da Tolosa benedicente, nonostante il Re fosse morto scomunicato. Si giunge, infine, al terzo livello ove il re appare in groppa al suo cavallo, bardato da parata, con la spada sguainata verso il cielo, in una posa insolita per una Chiesa. E non possiamo non pensare, con simpatia, a quel giovane re della dinastia degli Angioini, che con lungimiranza, già nel trecento, capì che in un luogo destinato ad ammassare pattume da carbonizzare, attività da cui derivò il nome della strada, era possibile ripartire, puntando sulla bellezza. Proprio in quel luogo, dove il puzzo della spazzatura arsa, in attesa che fosse dilavata dall’acqua piovana che scorreva fino al mare e dove i ratti regnavano incontrastati, facendo a gara per accaparrarsi i resti della mondezza e i resti umani, visto che la zona era anche teatro di sanguinari duelli, deprecati anche dal Petrarca, in visita nel trecento a Napoli, proprio in quel luogo d’inferno questo giovane re pensò bene di far erigere la chiesa da destinare a Pantheon degli Angioini. La sua opera resto’, però, incompiuta, a causa della sua prematura morte, a soli 38 anni. Nato a Napoli, ivi morì per mano di sicari che approfittarono di una sua debolezza per infliggergli il colpo ferale. Resto fregato dal suo incontenibile amor muliebre. La sua insana passione per le donne, lo condusse alla fine. I suoi avversari, sapendo che il re non si fidava di nessuno, dopo la spiacevole esperienza di Capua ove il suo coppiere Cola di Fusco cedette di schianto dopo aver assaggiato una bevanda a lui destinata, bevanda, che seppur solo sorseggiata, procurò al re una leggera balbuzie della quale non si liberò più, architettarono un orrido piano. Fecero invaghire il re di una dolce fanciulla, figlia di un medico alchimista. Questi, senza alcuna remora per la figlia, che fu anch’ella condotta alla morte da tale pratica, fece umettare le labbra intime della sventurata con un veleno malefico, ben immaginando che il re ne avrebbe goduto certamente in prima persona, senza richiedere ad alcuno di farne un primo assaggio. E proprio in quelle grazie, il giovane re, trovo’ la sua definitiva pace dei sensi. Tale indegna morte non interruppe solo i lavori di questa splendida dimora di Dio, che sarà poi la Chiesa di San Giovanni a Carbonara e che verrà portata a compimento dalla sorella, la regina Giovanna II. Quella morte improvvisa stroncò ben altri progetti che il re aveva coltivato per l’intera sua vita e che non poté concretizzare. Un’unità d’Italia sotto le insegne dei Durazzo-D’Angio con capitale Napoli. Lui, re napoletano, che voleva divenire Re d’Italia e che per tale scopo occupo’ per ben due volte la Città Santa, Roma, a costo della scomunica, spingendosi fino alla bassa Toscana. E non si sarebbe fermato lì, se solo avesse avuto più a bada i suoi ardimenti pulsionali. E chissà quale storia avrebbe vissuto questa nostra Napoli, possibile capitale di un regno che si farà, ma solo dopo circa cinquecento anni e sotto ben altre insegne e con ben altre capitali. Di tale sogno ne abbiamo memento se, con un po’ di attenzione, ci intratteniamo a leggere un’iscrizione presente alla base del secondo livello del mausoleo, attribuita all’umanista Lorenzo Valla. Lo stesso che svelò l’inautenticità della Donazione di Costantino, atto solenne sul quale la Chiesa fondava la legittimità del suo potere temporale. Ebbene, colui che smenti’ l’originalità di un documento così altisonante, provandone la falsità documentale, appose l’ iscrizione “Lux Italum”, “Luce degli italiani” proprio lì, sul sepolcro di quel re che aveva sognato un’altra storia per la nostra città e per il nostro Paese. Ma, ad un certo punto, questo enorme monumento marmoreo sembra inghiottirci e, attraverso il passaggio presente nella nicchia centrale, veniamo catapultati nella Cappella Caracciolo del Sole.
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Qui siamo subito avvolti dallo splendore degli affreschi che impreziosiscono tutte le mura, fin sulla volta, mentre calpestiamo lo splendido pavimento maiolicato ove sono raffigurati i simboli del casato Del Sole. Un Particolare simbolismo geometrico. Ottagoni che si ripetono instancabilmente. L’ottagono simbolo universale che rappresenta un quadrato che ruota in un cerchio. Unione del cerchio, simbolo del Cielo (la trascendenza, il divino) e quadrato, simbolo della terra. E mentre siamo impelagati in queste geometrie, scrutando i magniloquenti affreschi, scorgiamo su quest’ultimi delle scalfitture che fanno esplicito riferimento a riti massonici. E allora tutto diventa più chiaro. Siamo in uno dei luoghi che ha ospitato sedute per solo adepti iniziati e ci pare di udire ancora i rimbombi delle formule utilizzate dai Gran Maestri. E con questa nuova consapevolezza, incominciamo a notare segni massonici sparsi in vari punti della navata centrale, per ritrovarli poi tutti concentrati nella Cappella Somma.
Cappella, quest’ultima, realizzata su quella che era, in origine, la facciata principale della Chiesa. La Cappella Somma che così eretta si ritrovava direttamente proiettata verso Gerusalemme, e orientata verso il sole nascente, di modo da catturare la prima Luce, la prima energia cosmica, avendo la Chiesa di San Giovanni a Carbonara, originariamente, un orientamento est ovest. Cappella Somma, affastellata di simbolismi esoterico-massonici, con occhi inseriti in triangoli, soli e lune contrapposti, bibbie e, addirittura Bafometto scolpito sulle colonnine del sepolcro di Scipione di Somma, figura assolutamente insolita per una cappella sacra.
Dopo questo lavacro d’arte e cultura, usciamo nuovamente sulla terrazza dinanzi alla chiesa, ripiombando nel caos cittadino, e il solo pensiero che questo splendore gotico rinascimentale avesse corso il rischio di essere raso al suolo dai bombardamenti anglo-americani della seconda guerra mondiale che colpirono la Chiesa e, per fortuna, non la distrussero del tutto, mi fa tremare le vene.